Le interiora sono ingredienti diffusi un po’ ovunque in tutta Italia. Lo dimostra da tempi antichissimi il De Re Coquinaria, attribuito al gastronomo romano Marco Gavio Apicio, in cui si parla di pezzi di fegato di maiale marinati, pepati ed avvolti nella rete assieme a due bacche di alloro, quindi cotti sulle braci. Ne parla anche Maestro Martino da Como, il più importante cuoco europeo del XV secolo, autore del Libro de Arte Coquinaria. La ricetta non differisce molto: pezzi di fegato di maiale vengono salati e ricoperti di spezie ed erbe aromatiche, poi avvolti nella rete e cotti sullo spiedo. Questo potrebbe farci pensare che si trattasse di un piatto “da ricchi”, destinato più ai banchetti che alle tavole contadine…
Involtare il fegato nella rete e poi immergerlo in vasi di strutto era il metodo più antico per conservarli in assenza di frigorifero
In realtà come abbiamo avuto modo di raccontarti qui, la miseria e la difficoltà di consumare “pezzi nobili” di carne per la maggior parte della popolazione aveva reso queste parti dell’animale abbastanza comuni tra la povera gente. Si trattava di scarti della macellazione che non trovavano impiego nelle cucine dei ricchi ma che in campagna e nelle case più umili venivano sempre conservate, spesso con tecniche assai ingegnose. Dal momento che del maiale non si buttava via nulla e che il fegato in particolare era l’unico pezzo che non poteva essere conservato a lungo senza previa cottura, era usanza delle famiglie toscane, avvolgere i fegatelli di maiale nella rete peritoneale dell’animale ed infilarli dentro vasi colmi di strutto per estrarli solo al momento della cottura.
Il segreto: “Cuocerli bene è un’arte!”
Ad Arezzo si usava il finocchio selvatico al posto dell’alloro. Era anche un modo per digerire meglio i fegatelli!
Una delle tradizioni più gustose e che più di tutte si è diffusa oltre i confini della provincia è sicuramente quella dei fegatelli, che ha la sua roccaforte nel Valdarno aretino, dove il fegato del maiale diventa l’ingrediente principe di una ricetta saporita ma non proprio di facile esecuzione.
Abbiamo scoperto che la difficoltà risiede proprio nella cottura dei fegatelli. “Cuocere bene il fegato è un’arte” ci ha rivelato una massaia aretina assai esperta in materia. Difatti se la cottura è troppo breve il fegato resta crudo e i fegatelli diventano immangiabili, mentre se lo si cuoce anche un minuto di troppo, la carne si indurisce così tanto che saremo costretti a buttare via tutto!
Per l’aretino niente alloro, solo finocchio!
A differenza della più nota ricetta fiorentina, ad Arezzo si era soliti usare il finocchio selvatico al posto dell’alloro. Prima di involtarle nella rete, le palline di fegato venivano salate, pepate e spolverate col finocchio, quindi la rete veniva fermata con uno stecco di finocchio selvatico per conferire un sapore del tutto particolare in cottura nonchè per agevolarne la non facile digestione, sfruttando le proprietà naturali di questa pianta. Nel Valdarno invece si era soliti cuocere i fegatelli allo spiedo, alternandoli a pezzi di capretto. L’alloro in sostanza era una tradizione fiorentina arrivata solo più tardi.
Una delle tradizioni più gustose legata alle interiora è sicuramente quella dei fegatelli
La ricetta per cuocere bene i fegatelli
Secondo la ricetta più diffusa, il fegato del maiale viene tagliato a fettine sottili, spesse poco meno di un centimetro. Ogni fettina viene salata, pepata, cosparsa di finocchio e tenuta da parte per essere poi inserita nella “rete”. Alcuni suggeriscono di avvolgere le fettine di fegato attorno a piccoli cubetti di lardo per dare maggior sapore ai fegatelli, come variante. In realtà già la presenza della “rete” avrebbe il compito di insaporire il piatto, secondo noi l’aggiunta del lardo potrebbe appesantirlo troppo ma vale comunque la pena provarla.
A questo punto le fettine di fegato vengono avvolte in foglie di alloro (che puoi omettere se intendi usare il finocchio!) e inserite nella rete di maiale, prima tenuta a bagno almeno una mezz’ora con acqua tiepida e vino bianco. La rete viene chiusa con un rametto di finocchio che ha la funzione di rendere più digeribile il fegato e di assorbire eventuali cattivi odori, proprio come si usava per la finocchiona toscana.
La rete che abbiamo appena citato altro non è che il peritoneo (noi toscani lo chiamiamo “omento“), ovvero il reticolato di colore bianco che avvolge l’intestino del maiale. Si trova facilmente in macelleria ed è spesso utilizzata nella cucina toscana per avvolgere polpette e pezzi di carne, oppure come sostituto più economico al lardo.
Le fettine di fegato di maiale vengono condite, avvolte in foglie di alloro, poi inserite nella “rete” e cotte. Ed è proprio la cottura il capitolo più difficile!
Così “appallottolati”, i fegatelli vengono messi a cuocere in un tegame leggermente “unto” da un filo di strutto. C’è anche chi li infila in uno spiedino, intervallati tra loro da foglie di alloro. La cottura allo spiedo però risulta più problematica perchè è più difficile controllare la morbidezza della carne e togliere i fegatelli al momento giusto! Cuocendoli in una pentola invece dovrai girarli spesso, almeno fino a quando la rete non avrà cominciato a sciogliersi. Per controllare la cottura puoi usare uno stuzzicadenti: infilandolo nella carne dovrai verificare abbastanza spesso che il colore non sia sanguigno, a quel punto spegnili subito o diventeranno durissimi!
A causa dell’elevato contenuto in ferro del fegato ti consigliamo un abbinamento con vino bianco: una vendemmia tardiva oppure un bianco più strutturato
Vino, fegatelli e…ferro!
A causa dell’elevato contenuto ferroso del fegato, l’abbinamento con il vino non è mai un argomento facile. Il ferro è un elemento che facilmente distorce la percezione dei sapori, per averne una prova immediata ti basta assaggiare un vino, mangiare un pezzetto di carciofo e poi ri-assaggiare il vino, che a questo punto sicuramente ti apparirà dolciastro! Per questo motivo ti consigliamo di abbinare ai fegatelli un vino bianco vendemmia tardiva come un Soave oppure un bianco più strutturato e complesso come uno Chardonnay. Se invece non vuoi proprio rinunciare al rosso puoi provare un abbinamento territoriale come un Chianti superiore Colli Aretini d.o.c.g. oppure un Chianti classico.
A questo punto non ci resta che augurarti buon appetito e rimandarti al prossimo capitolo sui piatti tradizionali della cucina “povera” aretina. Hai mai assaggiato i grifi?