La regina della tavola Casentinese: la castagna
Protagonista indiscussa della tavola casentinese è sempre stata la castagna, dalla quale si ricavava prevalentemente farina per polenta
Fino a tempi abbastanza recenti la base dell’alimentazione contadina Casentinese sono state le castagne, affettuosamente chiamate “confetti del Casentino“. Il castagno rappresentava per il Casentino una fonte di ricchezza assoluta: legno per mobili e attrezzi, rami da ardere e castagne da mangiare, tanto importante che fino a fine ‘800 ed oltre gli Statuti dei paesi riportavano l’obbligo di piantare annualmente un certo numero di castagni per famiglia. I marroni si tramutavano così in bruciate, ballotte, baldini ma soprattutto servivano a ricavare farina per polenta, raramente fatta col granturco. A far da contorno alla polenta ed alle farinate gialle o bianche v’erano ricotta e formaggi, il baccalà, le aringhe e le salacche, che più spesso ci si accontentava di strofinare sulle fette per conferire un minimo di sapore.
Il pane e il suo uso in cucina
Il pane in compenso non è mai stato un alimento diffusissimo nella tavola dei Casentinesi
Nei tempi più antichi il pane in Casentino non era un alimento comune, più spesso sostituito da una mescola di crusca e di grano “vecciato” o “segalato”, che forse solo la fame poteva rendere mangiabile. Le famiglie che erano solite consumare pane erano comunque abituate a farsi pane e focacce in casa, lievitato nella madia e cotto a legna, con le farine che si trovavano una volta, assai lontane da quelle macinate meccanicamente e sbiancate di oggi. Il pane veniva dunque di colore scuro ed aveva una consistenza molto diversa da quella soffice e alveolata cui oggi siamo abituati. Ancora il pane, quando c’era, era impiegato più come ingrediente che come companatico: diventava la base per zuppe e minestre oltre che protagonista in pane e aringhe, pane e salacche, pane e cipolle piuttosto che pane e olio, pane e uva, pane e noci e “pane e cacio”. Diverso il discorso per le tavole dei signori dei tempi più antichi, dove il pane veniva preparato con un grasso (burro, strutto, latte o panna) o con lo zucchero, di modo che s’avvicinasse più ad un dolce che al semplice companatico.
Le verdure e i legumi in Casentino
Se pomodori e patate sono giunti relativamente tardi in Casentino, da sempre la cucina è stata ricca di erbe spontanee, verdure dell’orto e legumi
I casentinesi non sono mai stati in passato grandi consumatori di verdure: le patate ed i pomodori conquistarono a fatica un posto di tutto rispetto nella gastronomia casentinese, guardati inizialmente con sospetto perchè “stranieri”. Oggi invece le patate di Cetica sono tanto rare quanto preziose in cucina, tanto che l’intero Casentino le tutela ed i ceticatti le celebrano annualmente. L’affermazione vale solo in parte per i legumi, ai quali la gente del Casentino s’è subito affezionata, forse a causa del maggiore apporto di nutrienti di questi alimenti capaci di sostenere le fatiche del lavoro. Da sempre utilizzate invece le erbe spontanee e gli odori , con cui si facevano – e si fanno tutt’ora – ottime frittate, tortini, ripieni e minestre. Tra le più utilizzate i germogli di vitalba (vitalbini in Toscana), l’ortica, la borragine, la salvastrella, lo strigolo (detto anche minuto) e gli asparagi selvatici ma anche cardi, gobbi, bietole, sedani, baccelli, radici e tutte le verdure dell’orto. Una importanza tutta particolare era rivestita dalla nepitella (che forse conoscerete come mentuccia), impiegata in moltissime preparazioni ma d’obbligo con i funghi, specie se porcini: qualsiasi sia la varietà la cottura dei funghi in Casentino non può mai prescindere da un bel mazzetto di nepitella fresca.
Zuppe, minestre e paste-asciutte
La minestra era un’altra regina della tavola casentinese, rigorosamente di consistenza soda e cotta nella terracotta. Tra le minestre in brodo piùdiffuse figurava l’energetica stracciatella con un uovo e un pugno di formaggio a testa, di modo che sostenesse le fatiche del lavoro. Diffuse anche le minestre di fagioli, di cipolle e di cavolo nero, arricchite secondo necessità con un pugno di pasta secca fatta in casa o con il “condirolo“ cioè l’osso di prosciutto tenuto in serbo per le occasioni, più di recente con pancetta o altri pezzi di carne soffritti. Forse lo avrai notato: nelle zuppe è notevole l’influenza maremmana, portata in Casentino attraverso i viaggi di ritorno dalla transumanza: ecco allora comparire tutte le varietà di acquecotte, da quelle più semplici a base di sole cipolle, fino a quelle più ricche con funghi ed erbe selvatiche o prodotti dell’orto, tutte facili da preparare per pastori, carbonai e tagliatori con i cibi raccolti nel bosco e che proprio da questi traggono ancora il proprio nome.
I casentinesi sono sempre stati avvezzi a zuppe e minestre. Al contrario sul fronte della pasta-asciutta solo più tardi si sono affermati tortelli e gnocchi
A fronte della predilezione per zuppe e minestre, era poco consumata la pasta-asciutta. Unica eccezione i tortelli casentinesi, oggi assurti a veri e propri oggetti di venerazione per le tante sagre che li celebrano. I più antichi sono quelli ripieni di ricotta, legati al mondo della pastorizia ed arricchiti con spinaci ma anche bietole, ortica, borragine, vitalbina, strigolo o cavolo nero. Più recenti perchè legati all’introduzione di questo tubero, sono quelli fatti con sola acqua e farina, col ripieno di patate e dalle dimensioni che ricordano i tortelli maremmani, qui però cotti sulla griglia o sulla piastra del focolare, seguiti nel tempo dagli gnocchetti, o “topini” come vengono chiamati ad Arezzo. Te ne parliamo e ti diamo la ricetta in questo articolo!
Formaggi, uova e pesce nell’alimentazione Casentinese
Formaggi e pesce di torrente sono sempre stati alimenti importanti in Casentino. Ancora oggi si allevano trote e si producono prelibati formaggi
Sul fronte dei formaggi il Casentino non ha mai conosciuto scarsità: le famiglie erano solite preparare e consumare la ricotta, il raviggiolo, il pecorino. Ed oltre ad accompagnare polente e farinate bianche o gialle, una particolarità casentinese stava nel friggere le fette di pecorino fresco in olio d’oliva. Analogamente anche le uova erano molto consumate, in frittate e minestre. I Casentinesi erano poi golosi di pesce: barbi, lasche, reine, ghiozzi, anguille e le pregiatissime trote fario oggi d’allevamento, venivano quotidianamente pescati nei torrenti e nei fossi. Molto diffusi erano poi il baccalà e l’aringa perchè saporiti ed economici. E se il sapore del pesce non era un granché, se ne poteva ricavare uno “zimino” con odori in abbondanza, cipolle, aglio, bietole, porri e scarti di pescato. Si trovavano – e si cucinavano – anche lumache, rane e granchietti di fiume. Mia zia mi ha raccontato che ai tempi della transumanza, quando il nonno partiva per i lunghi viaggi fino alla Maremma, in mancanza di altro anche un pezzo di pane da “strusciare” su di un’aringa salata e seccata era un “signor pasto”!
La carne ed i salumi per le genti del Casentino
I casentinesi hanno sempre avuto una alimentazione povera di carne. Unica eccezione il maiale per assicurarsi salumi tutto l’anno
A differenza di altre zone della Toscana e nonostante la vicinanza del bosco con tutta la selvaggina che questo poteva offrire, la cucina casentinese non ha tramandato una vera e propria tradizione di carne, sicuramente a causa della relativa povertà della valle: si preferiva allevare pecore e mucche per ricavarne latte e formaggio, avicoli per le uova e maiali per farne salumi. L’allevamento del maiale era infatti l’unico capace di assicurare pochissimi scarti e grande abbondanza di cibo: vi si facevano quasi essenzialmente salumi, assente era il consumo della carne fresca. Ironia della sorte: oggi uno dei piatti più famosi del Casentino è la scottiglia, che viene ancora preparata con le carni che si hanno a disposizione e col pane raffermo, tanto che sembra quasi di mangiare un “caciucco di carne”. Ma di questo e di altri piatti imperdibili ti parleremo nella prossima puntata, che trovi proprio qui sotto!