Sono sempre più numerose le kermesse enogastronomiche, le pubblicazioni, le proposte di menù che si ispirano a quella cucina povera che un tempo costituiva l’unica scelta per le famiglie povere o per nutrire gli animali. E mentre si riscoprono le interiora, i brodi fatti con gli scarti; mentre ritornano nei menù stellati pietanze come il quinto quarto, la trippa, il lampredotto, piuttosto che code, grifi, fegati o zuppe fatte con ciò che si rimedia in dispensa, si fa strada una cultura del cibo che mette al primo posto il re-impiego di ingredienti soltanto relativamente “poveri”.
Il cibo di strada italiano nasce dal recupero di tutti quegli alimenti di scarto che in realtà di scarto non sono mai stati
Nato come metodo per riutilizzare gli scarti della preparazione di cibi, col tempo divenuti “di secondo ordine”, il moderno cibo di strada è tornato alla ribalta delle cronache ambo per l’economicità e per la riscoperta di un antico patrimonio di valori e tradizioni culinarie, rielaborato in modo da poter essere comunicato e condiviso anche con chi è nato e cresciuto tra il suono dei bicchieri di cristallo e le elaborate creazioni dei menù fusion.
Il principio fondante del cibo di strada versione 2.0 si concretizza in un panino farcito di prelibate interiora piuttosto che di saporito macinato, in un cartoccio di verdure o farine fritte, in una cecina, una fugassa o un qualsiasi alimento cucinato al momento e consegnato all’avventore. Insomma un modo popolare e quasi “destinato al consumo” per tramandare ed esportare antiche tradizioni culinarie italiane in tutto il mondo ed al contempo un veicolo di cucina ecologica che esattamente come una volta sceglie consapevolmente di non buttare via niente.
Il cibo di strada è riscoperta della tradizione culinaria ma anche un modo per opporsi alla cultura dei fast food
Ma il “cibo di strada” oltre che promozione culinaria e tradizionale è anche una vera e propria filosofia votata alla sostenibilità ed alla tutela della salute, un metodo di opporsi alla cultura dei fast food e della globalizzazione dilagante che non pochi problemi ha creato all’uomo, anche in termini di globalizzazione del gusto. E per fortuna non tutti – noi in prima fila! – sono disposti a diventare fast food-addicted!
Eppure in questo meraviglioso quanto esteso universo si annida una questione di non poco conto: “cosa può essere considerato cibo di strada?” In realtà una vera e propria definizione non c’è. C’è solo il rispetto di antiche tradizioni locali, di lavorazioni effettuate in loco e con materiali rigorosamente chilometro zero, di sapori e gusti quasi dimenticati.
Vi potremmo raccontare di come abbiamo scoperto come la milza di vitella venga bollita in larghi pentoloni fumanti prima di diventare la farcia di un Panino Ca’ Meusa siciliano, di come si prepara il Pastìn bellunese, antica tradizione delle famiglie contadine che erano use mescolare in una miscela variabile di spezie, aglio e vino la carne di scarto del maiale con quella di una vecchia mucca ormai non più capace di produrre latte. E della lenta aggiunta di pomodoro durante la cottura che caratterizza il Morzeddu catanzarese, una sorta di trippa di interiora bovine a metà tra la trippa romana e il lampredotto fiorentino.
Il cibo di strada italiano è in fondo ciò che riempie quotidianamente le tavole di tutta Italia, quando manca una pastasciutta o un arrosto
Vi potremmo descrivere le vere Olive Ascolane, che nella ricetta originale devono essere conservate in una salamoia di finocchio selvatico ed erbe aromatiche prima di essere farcite con l’impasto di carne e fritte, conosciute ed apprezzate sin dai tempi di Marziale e Petronio. Di come abbiamo assaporato la differenza tra il Pane e Panelle siciliano (un panino ripieno di una julienne di farina di ceci fritta) e la Cecina toscana, farina di ceci cotta in grandi teglie di ghisa che assomiglia tantissimo alla Bela Cada piemontese e tutt’oggi la sua origine è motivo di litigio pure tra Regioni! Del sapore così unico dei Würstel altoatesini, fatti con vera e propria carne di maiale o di vitello, serviti con il formaggio sciolto nella piastra ed i crauti, di quello del Caciocavallo appeso sopra le griglie, che si scioglie sopra fette di pane abbrustolito, piuttosto che raccontarvi quanto è stato divertente riempire la pasta fritta toscana, donzelline, coccoli e ficattole con formaggio morbido e salumi…
Potremmo annoverare nella categoria del cibo di strada pure i croccanti Taralli pugliesi, rotondi ed aromatizzati in migliaia di modi diversi, che conoscono una variante toscana bollita tipica della zona dell’Amiata. Oppure i Panzerotti fritti fatti con la pasta di pane ed un ripieno di pesce e verdure, i supplì laziali piuttosto che gli arancini siciliani. Ma anche ricette apparentemente più elaborate come il “Purpu a Pignatta” pugliese, che vuole il polipo appena pescato battuto sugli scogli per ammorbidirlo, cotto in una pirofila in terracotta (detta appunto “pignatta“) con pomodori, cipolle, prezzemolo, aglio ed in qualche variante anche patate. Ma potremmo annoverarci sicuramente anche il celeberrimo Panino con Lampredotto fiorentino, la Trippa romana servita sul panino, la Fugassa ligure e la Focaccia al formaggio di Recco, inventata al tempo della terza crociata quando i contadini costretti a nascondersi nell’entroterra per sfuggire ai saraceni la realizzavano con solo acqua, farina di semola e olio. Oppure potremmo metterci gli Arrosticini abruzzesi, spiedini di carne di pecora molto simili a quelle Rostelle liguri fatte invece con la capra. O ancora i Panuozzi fatti con la farina di Gragnano e ripieni di fresca mozzarella di Bufala e pomodorini Pachino.
Potrebbero essere cibo di strada anche i toscanissimi Panini con la Porchetta di Monte San Savino, i Tortelli casentinesi alla lastra di Corezzo oppure un più classico cono di frutti di mare fritti della Riviera romagnola, che in Puglia vengono marinati prima della frittura e prendono il nome di Pupiddhri o – perchè no?! – una bella Piadina Romagnola o una Rosetta con Mortadella di Bologna IGP piuttosto che due fette di pane toscano con Salame o Prosciutto di Cinta senese o di Grigio del Casentino. E che ne dite poi della Bruschetta, delle Tigelle, delle graffe dolci napoletane? Avete mai assaggiato lo Spiedino di “bombette” della Basilicata? Con quelle piccole salsicce o fettine di carne speziata, arrotolate tra foglie di salvia, formaggio, pancetta fresca e peperoncino.. E lo gnocco fritto emiliano?
Perchè in fondo la tradizione italiana è sempre stata quella della cucina povera e del cibo di strada: non buttar via niente e fare di ogni ingrediente un capolavoro!
Insomma come avete ben visto la categoria si amplierebbe a più non posso ed ogni cibo di strada locale ha almeno una variante che differisce anche per un solo ingrediente nella cucina di un’altra regione, spesso a centinaia di chilometri di distanza. Forse che ciò che oggi costituisce ed incarna il “cibo di strada” è ciò che riempie quotidianamente le tavole di tutta Italia, quando manca una pastasciutta o un arrosto. Forse che è la nostra cultura a prestarsi bene ad incarnare i principi cardine del moderno “Streetfood”. Fatto sta che l’Italia è ben colma di tradizioni culinarie che coniugano l’impiego di metodi di lavorazione tradizionali, di materiali reperiti in loco e tecniche di preparazione semplici. E…fatto sta che l’Italia è da sempre la culla del “non buttar via di niente” e del rendere qualsiasi ingrediente un capolavoro!