Se sei arrivato qui vuol dire che vuoi sapere come si fa il Moscadello di Montalcino; prima però è doveroso sottolineare un fatto importante, che spesso tutti noi sorvoliamo quando parliamo del passato: il gusto è cambiato nel corso dei secoli.
Che cosa mangiavano e bevevano i nostri antenati, e che cosa piaceva loro o meno? Quali erano i gusti al tempo ritenuti accettabili per un cibo, una bevanda, un ingrediente e quali invece sarebbero stati ritenuti “bizzarri” o del tutto inaccettabili?
Purtroppo non è facile rispondere a queste domande se non con l’aiuto dei libri: le varie “deliziose” ricette che ci tramandano le cronache di Medioevo e Rinascimento, più di una volta hanno fatto storcere il naso e pensare che in qualche secolo – almeno per quanto riguarda il gusto! – è davvero cambiato il mondo. Eppure – come recita il detto – le eccezioni confermano sempre la regola. Il Moscadello di Montalcino in questo caso è l’eccezione che conferma la regola.
Nonostante la mutata enologia il Moscadello di Montalcino ha conservato molto delle sue originali tecniche di vinificazione
Celebrato, cantato e soprattutto venduto in tutto il mondo allora conosciuto, a partire dal 1400 il Moscadello divenne una vera e propria star, tanto che la produzione finiva annualmente nelle mense di ricchi aristocratici e mercanti esteri come ti ho raccontato qui. É proprio per questa fama consolidata che non ci dobbiamo stupire se i suoi metodi di produzione siano rimasti sostanzialmente gli stessi, a distanza di secoli. Metodi sicuramente pessimi per quanto riguarda la moderna enologia ma che si addicono sorprendentemente ad un vino come il Moscadello e pertanto capaci di essere soltanto migliorati dallo studio e dall’implementazione di nuove pratiche.
L’allevamento dei vigneti di Moscadella a Montalcino
Sia i grappoli delle uve Moscadella, allevate prima dell’arrivo della fillossera, che quelli del Moscato dei giorni nostri venivano lasciati ad appassire sulla pianta e raccolti solo all’ultimo. Queste vendemmie tardive hanno da sempre regalato vini passiti – tendenti leggermente al dolciastro perché non avevano sviluppato tutti gli zuccheri durante la fermentazione – di grandissimo pregio che hanno dato vita al regno del Moscadello di Montalcino che, come i grandi rossi di oggi, già allora sembrava aver consolidato un proprio carattere di status symbol.
Le “moscadellaje” erano situate nei colli più alti, difese con siepi e fossati da ladri ed animali selvatici
Molti documenti storici dicono che nel 1800 i vigneti a Moscadella erano nel pieno della produzione. Si chiamavano e si chiamano ancora oggi “moscadellaje“: pochi filari concentrati nei colli più alti della proprietà, esposti a sud così da giovarsi al massimo delle escursioni termiche per conquistare totale maturazione. Queste erano queste forse le uniche vigne specializzate in un momento storico in cui la vite veniva ancora allevata col sistema “promiscuo” ovvero addossata agli alberi, che fornivano l’adeguato sostegno alla pianta di vite. In gergo si dice ancora che erano “maritate agli alberi” e questa espressione non può non farci pensare ad una certa considerazione quasi familiare con cui i contadini dell’epoca dovevano probabilmente considerare la vite.
Una curiosità che invece ho imparato a Montalcino è che le piante ed i grappoli di Moscadella erano talmente preziosi che i loro proprietari avevano implementato tutto un articolato sistema difensivo contro gli animali selvatici golosi di uva e soprattutto contro i ladri: le vigne erano isolate con siepi e fossati, oppure tramite recinzioni!
Raccolta e vinificazione del Moscadello in passato
Appassimento in pianta, vinificazione ‘in bianco’ e maturazione nei caratelli erano le principali caratteristiche del processo di produzione
Nel passato anche piuttosto recente le uve moscato venivano lasciate appassire sulla pianta fino ad ottobre, per poi essere “vinificate in bianco” con l’immediata estrazione del succo e numerose filtrazioni successive. Il tutto veniva poi lasciato a fermentare qualche giorno nei tini quindi svinato una volta raggiunto il rapporto alcool/zuccheri desiderato. Infine veniva messo a maturare nei caratelli, dove rimaneva tutto l’inverno. Una vendemmia procrastinata fino all’ultimo assicurava così al Moscadello non soltanto una grande aromaticità ma anche la giusta maturazione, che avrebbe reso equilibrato il rapporto tra la concentrazione zuccherina e quella caratteristica nota acidula derivata da questa tecnica di vinificazione.
A questa tecnica “base” di vinificazione seguiva un imbottigliamento manuale abbastanza evoluto per i tempi, con la scelta dei tradizionali fiaschetti impagliati che ancora, a distanza di secoli, affollano l’immaginario popolare del vino toscano, specie nella mente dei turisti. E chissà che buona parte di questa consolidata immagine del vino toscano non derivi in parte anche dal Moscadello esportato nel mondo…
Fu Clemente Santi a proporre per primo una versione frizzante rifermentata in bottiglia
Verso la metà del 1800, Clemente Santi, capostipite della celebre dinastia del Brunello presentò una versione frizzante del Moscadello. L’idea non era affatto campata in aria: in passato accanto alla versione tradizionale esisteva un Moscadello “mussante” ottenuto attraverso l’aggiunta di una piccola quantità di zucchero durante l’imbottigliamento affinchè il vino rifermentasse per diventare una sorta di spumante moscato ante-litteram.
Moscadello: come si produce oggi
Oggi di Moscadello il Disciplinare di produzione ammette almeno tre versioni: “Tranquillo” e “Frizzante“ per un vino sicuramente più fresco e brillante, quasi solare nel suo ricordare le giornate di inizio autunno a Montalcino. Si aggiunge una terza versione, la classica “Vendemmia tardiva“, che riprende le tecniche trazionali di vinificazione che ti ho raccontato sopra, con la maestria di pratiche tramandate per secoli.
Tre le tipologie di Moscadello previste oggi dal Disciplinare: Tranquillo, Frizzante e Vendemmia tardiva
La vendemmia non può avvenire prima del 1 ottobre di ogni anno, con uve che devono raggiungere sulla pianta quel particolarissimo semi-appassimento che costituisce la prima particolarità del Moscadello. Un’accurata cernita delle uve, fermentazione naturale per il tipo “Frizzante“, basse rese e parametri restrittivi circa i livelli potenziali di alcol sono necessari per un vino prezioso che ambisce ad essere parametro di qualità assoluta. La tipologia “Vendemmia Tardiva” inoltre, a differenza delle altre due, deve essere obbligatoriamente sottoposta ad un periodo di affinamento di almeno un anno e non può essere immessa al consumo prima del 1 gennaio del secondo anno successivo alla vendemmia.
Per riprendere la produzione di Moscadello, in anni recenti a Montalcino sono state analizzate e re-impiantate alcune piante rimaste vegete nei secoli all’interno delle antiche moscadellaje. Gli studiosi le hanno recuperate e studiate per capire che quelli che in gergo tecnico si chiamano “presunti cloni” appartengono al biotipo del Moscato bianco, con la particolarità di essere straordinariamente adatte all’appassimento su pianta. Oggi è difatti questo il vitigno, già di per sè noto per i suoi intensi aromi floreali, da cui si ricava questo nettare armonico, elegante ed intensamente profumato.
Ora non mi resta che condurti nell’affascinante mondo degli abbinamenti e delle diverse sfumature del Moscadello di Montalcino. Anche qui nulla di accademico: solo la nostra passione per un prodotto che una volta assaggiato e sentita la sua storia, diventa impossibile non amare…