C’è un lungo sentiero che da Sinalunga si diparte in rettilineo fino alla Maestà del Ponte, nei pressi del bivio tra Montepulciano Stazione, Valiano e la strada che porta al Lago di Chiusi. La chiamiamo “la Fila” perchè le case erano disposte l’una accanto all’altra, l’una dopo l’altra in modo ordinato. Erano tutte leopoldine, larghe quanto bastava per una famiglia contadina allargata, con le stalle al piano inferiore e le stanze al primo piano, con gli annessi agricoli e una bellissima colombaia in cima al tetto.  

Questo è quanto ricordo della mia infanzia trascorsa a Montepulciano, nel cuore della Valdichiana bonificata. Ancora oggi di case di questo tipo se ne vedono moltissime percorrendo con la bici o a piedi, i sentieri che costeggiano il Canale Maestro. Sono le leopoldine granducali, cioè le case contadine che l’illuminato Pietro Leopoldo volle far costruire come soluzione alle pessime condizioni di vita dei contadini di questa zona della Toscana mentre proseguivano i lavori di bonifica che finalmente avrebbero riportato la Val di Chiana all’antica fertilità, dopo lunghi secoli d’acquitrinio e malaria. Ne troverete alcuni bellissimi esempi (purtroppo molti dei quali diroccati), percorrendo il Sentiero della bonifica ma anche le strade che collegano i vari centri della valle, tra Torrita di Siena, Sinalunga, Bettolle, Cortona, Montepulciano e tanti altri. La maggior parte sono state oggi ristrutturate e convertite in aziende agricole produttive o in lussuose ville ma sono ancora tantissimi i ruderi in pericolo di crollo, che sarebbe certamente bello salvare prima che spariscano, cancellando per sempre la loro storia.

Pianta del corso del Clanis dall'Arno al Tevere
Pianta del corso del Clanis dall’Arno al Tevere – ItalyzeMe CC BY-NC-ND 2.0

L’illuminato granduca che volle combattere la palude

Conscio di quanto il lavoro agricolo era importante per l’economia toscana, l’illuminato Granduca Pietro Leopoldo di Lorena ambiva a fondare un nuovo ordine sociale

Te ne ho già parlato quando ti ho raccontato la storia della bonifica della Val di Chiana, di quanto lo spirito illuminato di questo Granduca fu importante per la valle. Pietro Leopoldo ambiva a fondare un nuovo ordine sociale, non più all’insegna dello sfruttamento della plebe da parte di signori ed ecclesiastici ma della collaborazione tra ceti e del rispetto delle funzioni di ciascuno. In quella che è passata alla storia come “la predilezione del Granduca per le zone rurali rispetto a quelle cittadine” si celava in realtà la comprensione di quali e quante incredibili risorse avrebbe liberato la bonifica della Val di Chiana e delle Maremme per l’economia toscana. Inoltre in un periodo di decadimento della vecchia nobiltà, non erano completamente alieni a questo Granduca i concetti di allargamento della rappresentanza politica e di autonomia amministrativa locale che a breve si sarebbero imposti in Toscana con l’avvento dei francesi. In sostanza Pietro Leopoldo, sebbene fu sempre guardato con sospetto dai suoi sudditi, fece molto per la bassa Toscana, forse più di quanto avrebbe mai fatto il successivo Regno d’Italia. L’esempio più immediato è da ricercare proprio nelle case leopoldine.

Prospetto di una casa colonica dell'epoca leopoldina a cura dell'architetto Dalla Porta
Prospetto di una casa colonica dell’epoca leopoldina a cura dell’architetto Dalla Porta – ItalyzeMe CC BY-NC-ND 2.0

Struttura e funzioni delle leopoldine

Le nuove case coloniche dovevano coniugare la salubrità della struttura alle esigenze dei propri abitanti: uomini ma anche animali

Nell’ottobre 1769 Pietro Leopoldo visita la Val di Chiana e rileva di persona le pessime condizioni in cui versano le case dei contadini afferenti alle fattorie dei Cavalieri di S. Stefano (Montecchio, Bettolle, Foiano e Fonte al Ronco) e quelle afferenti alle Possessioni (il Bastardo, Frassineto, Acquaviva, Le Chianacce). Case in rovina, prive di stalle e tinaie, umide e basse, contornate da fragili capanni di terra per gli attrezzi ed il grano. Decide pertanto di mandare in avanscoperta un nutrito gruppo di ingegneri per poter ricostruire le abitazioni, che da questo intervento prenderanno il nome di “leopoldine“. Queste coloniche solide e lineari diventano il simbolo di un nuovo rapporto tra il lavoro agricolo e le esigenze umane. Fu il Granduca in persona a volerle più rialzate, con le stalle poste sotto alle camere da letto di modo da garantire una maggior ventilazione e l’adeguata protezione agli animali, con grandi cucine ed ampi spazi per immagazzinare il raccolto, con le scale esterne protette da tettoie per il gelo invernale e mai esposte a tramontana. Altrettanto confortevoli dovevano essere gli spazi destinati alle esigenze degli animali: le stalle per cavalli e buoi dovevano essere esposte a Levante per proteggerli dal freddo mentre quelle per i muli andavano orientate a nord a causa dell’insofferenza per il caldo. Per i suini conveniva che gli stalletti fossero sterrati e costruiti in luogo freddo perchè “il maiale diviene forte se patisce il freddo, debole se avverte il caldo” mentre la colombaia andava collocata nel punto più alto della costruzione, in cima al tetto.

Pianta e transetto di una tipica "leopoldina" a cura dell'architetto Dalla Porta
Pianta e transetto di una tipica “leopoldina” a cura dell’architetto Dalla Porta – ItalyzeMe CC BY-NC-ND 2.0

I progetti che furono approvati per il rifacimento delle coloniche prevedevano tutti le indicazioni fornite da Pietro Leopoldo in persona ai suoi ingegneri: il piano terreno (detto ancora oggi “rustico“), doveva essere pavimentato in pietra, ospitare stalle, cantina e vinaia, mentre al primo piano, pavimentato in mattoni, dovevano trovare posto le camere disposte a raggiera attorno ad un grande vano centrale che ospitava la cucina, di gran lunga la stanza più vissuta della casa poichè qui c’era il focolare per cucinare, riscaldarsi e coadiuvare le donne di casa in tutte le proprie mansioni. La loggia esterna era concepita come ambiente di transito, di rimessa ma anche atto a svolgere piccoli lavori artigianali mentre l’aia, dove presente, serviva a radunare attrezzi ed a preparare gli animali da lavoro, era un ambiente di sosta e di passaggio fondamentale per tutte le attività agricole.

I risultati di una visione lungimirante

Già nel giro di pochi anni grazie agli interventi abitativi, l’incidenza delle malattie era sensibilmente calata nella popolazione

Le nuove case diventavano così un modello di abitazione rurale dove la pulizia e la sobria eleganza delle forme si coniugava alla razionalità distributiva degli spazi, in nome di quella “architettura dell’utile” che i Lorena vollero sostituire all’effimera monumentalità del passato. L’idea che voleva veicolare questo Granduca attento e misurato era quella di una architettura di servizio, che potesse dare ulteriore sollievo alle condizioni di vita di una popolazione stremata dalla palude e dalle continue febbri malariche. E ci riuscì perchè già nel giro di un quinquennio l’incidenza delle malattie causate dalle cattive condizioni di vita era sensibilmente calata, con gran pace dei contadini che nel frattempo si vedevano restituire terre da coltivare e qualche piccola libertà, frutto di provvedimenti atti a liberarli dal giogo della servile dipendenza colonica.

Forse al Granduca non tornarono dai propri sudditi del tempo la riconoscenza e l’affetto che avrebbe meritato ma si sa, noi toscani siamo un po’ burberi e poco inclini all’affetto o alle parole. Per noi contano i fatti e di fatti, in questa vicenda, ce ne sono stati assai…

Pianta di casa colonica ad opera dell'architetto Della Porta costruita durante l'epoca leopoldina
Pianta di casa colonica ad opera dell’architetto Della Porta costruita durante l’epoca leopoldina – ItalyzeMe CC BY-NC-ND 2.0

BIBLIOGRAFIA:
Per realizzare questo articolo abbiamo attinto al bellissimo volume “La Toscana dei Lorena. Politica del territorio e architettura”, di Carlo Cresti, Ed. Banca Toscana, 1987.